IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA 
                           Sezione Quarta 
 
Ha pronunciato la presente 
    Ordinanza sul ricorso numero di registro generale 289  del  2012,
integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
      Romeo  Alberghi  S.r.l.,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Raffaele Ferola e Renato Ferola, con domicilio eletto presso il  loro
studio, in Napoli, piazza della Repubblica n. 2; 
 
                               Contro 
 
    Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno  Ricci,
Giuseppe  Tarallo,  Barbara  Accattatis  Chalons  D'Oranges,  Antonio
Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno  Crimaldi,  Annalisa  Cuomo,
Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini  e  Gabriele  Romano,
domiciliato in  Napoli,  presso  l'Avvocatura  Municipale,  p.zza  S.
Giacomo; 
    Regione Campania; 
    Ministero Infrastrutture, Soprintendenza Beni Archit. e  Paes.  e
Patrim. Stor. art. e Etno. Napoli e Prov., Ministero per i Beni e  le
Attivita' Culturali, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura
Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli,  via  Diaz
n. 11, 
    per l'annullamento, quanto al ricorso principale: 
      delle disposizioni dirigenziali n. 4 del 19  ottobre  2011  del
dirigente II Municipalita'  e  n.  419  in  pari  data  del  Servizio
Antiabusivismo aventi ad oggetto annullamento della DIA  n.  212/2005
ed ordine di demolizione per parte degli  abusi,  ed  irrogazione  di
sanzione pecuniaria per parte degli abusi; 
      degli atti presupposti, nota del 23 settembre 2011 Dipartimento
pianifica. 
      Urbanistica 
      della nota dipartimento urbanistica 11 marzo 2010  e  17  marzo
2010 e nota 27 ottobre 2010 della Soprintendenza 
      dei verbali 12 marzo 2008 e 8 aprile 2008  di  validazione  del
formato digitale dei perimetri delle  aree  vincolate  ai  sensi  del
decreto  legislativo  n.  42/2004  e  del  conforme  certificato   di
destinazione urbanistica 
      dell'art. 124 delle NTA della variante generale al PRG; 
      della nota  21  luglio  2010  del  dirigente  II  municipalita'
recante avviso di avvio del procedimento di riesame di una  serie  di
denunce inizio attivita', tra cui la DIA n. 212/2005; 
    della nota II municipalita' 21 ottobre 2010 prot. 2802; 
    della nota 7 settembre 2011 del  dipartimento  di  pianificazione
urbanistica e del 28 settembre 2011 della unita' condono edilizio; 
    nei motivi aggiunti depositati il 20 febbraio 2012 notificati  il
13 febbraio 2012: 
    della nota 15 dicembre 2011 e 23 aprile 2010, attinenti alla  dia
367/2010 sospesa e poi respinta; 
    del provvedimento di archiviazione del 26 agosto 2010; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Napoli  e
di Ministero Infrastrutture e di Soprintendenza Beni Archit. e  Paes.
e Patrim. Stor. Art. e Etno. Napoli e Prov. e di Ministero Per i Beni
e le Attivita' Culturali; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  13  novembre  2013  il
dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    La societa' ricorrente e' proprietaria di  un  immobile  sito  in
Napoli alla via C. Colombo n. 45, precedentemente adibito ad  uffici,
noto come edificio ex Flotta Lauro, ed attualmente denominato  «Hotel
Romeo». 
    All'esito di lavori di consolidamento  strutturale  dell'edificio
suddetto, eseguiti giusta DIA n.  23/2004,  e'  stata  presentata  al
Comune di Napoli ulteriore DIA n.  212/2005  al  fine  di  realizzare
lavori  tesi  al  mutamento  di  destinazione  ad   uso   alberghiero
dell'immobile, DIA che contemplava un intervento di  ristrutturazione
edilizia mediante parziale demolizione e ricostruzione, asseritamente
senza aumento di volume; a tale denuncia erano  allegate  planimetrie
contenenti lo stato di fatto e quello di progetto dell'edificio. 
    Le opere sono state ultimate in  data  14  dicembre  2007  giusta
comunicazione di fine lavori  depositata  agli  atti  del  Comune  di
Napoli. 
    In  seguito  le  porzioni  di  immobile  site  all'ottavo   piano
(relativamente allo spazio esterno destinato a palestra) e  del  nono
piano (sala ristorante) sono state  sottoposte  a  sequestro  penale,
essendo  contestata  per  le  stesse  la  mancanza  di  permesso   di
costruire. 
    L'amministrazione comunale ne  ha  conseguentemente  ingiunto  la
demolizione con la disposizione dirigenziale n. 399 del 16  settembre
2009 gravata nel ricorso di cui al R.G.  7185/2009,  nell'ambito  del
quale sono stati poi impugnati con motivi aggiunti gli ulteriori atti
impugnati anche nel presente giudizio, con effetto di litispendenza e
comune  connessione,  e  nell'ambito  del  quale  e'  stata  adottata
ordinanza di rimessione alla Corte  Costituzionale  n.  729/2014  su,
questioni  in  parte  analoghe  a  quelle  riportate  nella  presente
ordinanza. 
    Assume  parte  ricorrente  che  il  Comune  di   Napoli   avrebbe
supinamente recepito la contestazione del giudice  penale,  adottando
il  provvedimento  di   demolizione   che   ritiene   verificata   la
realizzazione in parte qua di una nuova costruzione. 
    L'ordine di demolizione  e'  stato  sospeso  da  questo  TAR  con
ordinanza cautelare n.  352/2010,  nella  quale  si  e'  rilevata  la
mancata considerazione di quanto assentito con DIA n.  212/2005,  non
annullata dal Comune. 
    A seguito anche di  una  perizia  depositata  dal  consulente  di
ufficio del PM nel  procedimento  penale,  il  Comune  di  Napoli  ha
avviato un procedimento di riesame di  tutte  le  denunce  di  inizio
attivita' in base alle quali sono stati  eseguiti  lavori  edili  per
l'Hotel Romeo; gli elementi indicati nell'avviso di avvio del riesame
sono stati oggetto di controdeduzioni della societa' Romeo  con  nota
del 5 agosto 2010. 
    Il Comune  ha  richiesto  integrazioni  documentali  in  data  25
settembre 2010; 
    Quindi ha: 
      dapprima concluso il riesame della DIA  n.  23/2004  disponendo
l'archiviazione del procedimento (in  quanto  in  parte  trattasi  di
lavori di adeguamento antisismico ed in parte le  relative  richieste
sono state rinunciate e trasfuse nella successiva DIA 212/2005); 
      in seguito ha concluso il procedimento di riesame per  due  DIA
n. 393/2008 e 341/2009 relative a lavori  eseguiti  nell'immobile  di
via  Melisurgo  15  (traversa  del  Leone),  attinenti   a   porzioni
dell'immobile  site  al  piano  terra  e   seminterrato,   disponendo
l'annullamento delle denunce stesse; 
      avviato una richiesta di parere  alla  Soprintendenza  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 33 comma 4 decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 380/01 per gli abusi contestati; 
      infine  concluso  il  procedimento  di  riesame  della  dia  n.
212/2005 giusta le determinazioni del 19 ottobre 2011 con le quali ha
dichiarato  l'inefficacia  della  DIA  sia  in  ragione  del  mancato
rispetto   del   vincolo   paesaggistico   (che    avrebbe    imposto
l'acquisizione del parere della competente  Soprintendenza),  sia  in
ragione di un aumento  volumetrico  non  consentito  dalla  normativa
urbanistica vigente pei la zona in esame; ed ha di seguito  diffidato
la societa' alla demolizione delle opere eseguite su parte del  piano
ottavo e sull'intero nono piano, applicando per i restanti  abusi  la
sanzione pecuniaria. 
    Parte  ricorrente  ha  impugnato  l'ordine  di   demolizione,   e
successivamente con  motivi  aggiunti,  avverso  tutti  gli  atti  in
epigrafe, lamentando censure di violazione di  legge  ed  eccesso  di
potere. 
    In particolare lamenta: 
    1 - violazione art. 7 legge 241/90,  istruttoria  frettolosa-  si
sarebbe ignorata la presentazione della denuncia di inizio  attivita'
e non si e' dato modo di dimostrare la legittimita' delle  opere,  in
quanto configurabili come atti di ristrutturazione edilizia.  Mancata
spedizione  dell'avviso  di  avvio  del  procedimento   di   riesame,
necessario trattandosi di esperimento di potere di autotutela; 
    2 - violazione del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/01: premette la ricorrente  che  l'immobile  e'  stato  edificato
giusta licenza edilizia del 1950 e  constava  di  un  seminterrato  e
undici piani fuori terra, di cui gli ultimi due arretrati rispetto al
filo della facciata, in acciaio e vetro- inoltre per i piani  interni
dello stabile  nel  1987  e'  stata  presentata  domanda  di  condono
edilizio. 
    Con la dia del 13 giugno 2005 il  Comune  dapprima  disponeva  la
sospensione dei  termini  chiedendo  il  completamento  del  condono;
conseguita la concessione in sanatoria per il pregresso, la parte  ha
atteso i termini per il perfezionamento della DIA ed ha dato inizio e
concluso i lavori, dopo che il Comune in  alcuni  sopralluoghi  aveva
accertato la conformita' di quanto realizzato alla DIA. 
    Il progetto di DIA,  si  ribadisce,  non  modificava  le  altezze
dell'edificio e prevedeva una  ristrutturazione  con  spostamento  di
alcuni volumi in diverse allocazioni,  senza  modifiche  a  volume  e
sagoma:   il   concetto   tecnico-giuridico   invocato   sarebbe   la
ristrutturazione leggera di cui all'art.  3  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 a differenza della  ristrutturazione  pesante
che richiede il permesso di costruire. 
    Peraltro   con   successive   modifiche   normative   anche    la
ristrutturazione pesante di cui all'art. 20  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 e' stata resa assentibile con DIA alternativa
al permesso di costruire. 
    Conclusivamente l'istante  invoca  la  legittimita'  del  proprio
operato, in quanto assistito da una denuncia di inizio attivita', per
la quale sono decorsi i termini senza obiezioni, i lavori sono  stati
ultimati, non vi sono abusi, i pretesi aumenti volumetrici  sarebbero
di  entita'  minima  rispetto  al  totale   dell'edificio:   non   si
configurerebbe ne' nuova costruzione, ne' difformita' totale. 
    Al riguardo aggiunge che le leggi reg. n. 19/2001  e  n.  16/2004
ricomprendono nell'ambito degli interventi assentibili con DIA sia la
ristrutturazione   cd.   minore,   sia   quella   pesante;   ma    la
ristrutturazione cd.  pesante  si  caratterizza  per  un  sostanziale
ampliamento   dell'edificio,   ovvero   per    la    demolizione    e
ricostruzione-il tutto nella specie  insussistente:  a  tal  fine  si
richiama ad una perizia tecnica allegata al ricorso. 
      3 - eccesso  di  potere  sotto  vari  profili:  gli  incrementi
volumetrici della sala ristorante al nono piano risultano  compensati
dalle  demolizioni  eseguite  aliunde,  quindi  vi   e'   stata   una
traslazione a questo livello  di  altri  volumi;  egualmente  per  la
copertura con tende  amovibili  dello  spazio  terrazzato  adibito  a
palestra. In conseguenza, il piano nono sarebbe totalmente  conforme-
realizzando una compensazione con diversa distribuzione. 
    Per  la  palestra  al  piano  ottavo  precisa  inoltre   che   si
tratterebbe di sistemazione di spazi esterni per esigenze temporanee,
interventi che ai sensi  dell'art.  6  comma  1  lett.  d)  del  reg.
edilizio comunale ed art. 10 delle NTA non sono rilevanti in  termini
di superficie e  volume.  In  ogni  caso,  si  tratterebbe  di  lieve
difformita'  con  inapplicabilita'  del  regime  sanzionatorio  della
demolizione. 
      4 - violazione art. 37  e  ss.  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  380/01  -  Le  difformita'  rispetto  alla  dia  vanno
sanzionate con la sanzione pecuniaria e non con la demolizione. 
    Peraltro anche a  volere  configurare  la  ristrutturazione  come
pesante, la sanzione demolitoria non sarebbe  eseguibile,  in  quanto
sono stati collocati al livello superiore  al  nono,  sopra  l'ultimo
piano dell'albergo, tutti gli impianti tecnologici e volumi tecnici a
servizio dell'intero albergo, si' che gli stessi perderebbero il loro
appoggio in caso di esecuzione  dell'ordine  di  ripristino-  per  le
stesse ragioni non si  potrebbe  acquisire  l'area  di  sedime,  come
indicata nell'ordine di demolizione. 
      5  -  eccesso  di  potere  per  difetto  di   istruttoria-   la
sottoposizione a sequestro  penale  rende  evidente  che  manca  ogni
urgenza di provvedere in ordine alla demolizione. 
    Si e' costituita in giudizio l'amministrazione  comunale  che  ha
ricostruito la vicenda in punto di fatto come segue: 
      il 12 febbraio 2010, a seguito di accoglimento della sospensiva
contro la demolizione, sulla  scorta  dell'esistenza  della  dia  del
2005, l'avvocatura dell'ente invita  il  dirigente  a  contestare  le
difformita' e ad emettere atto ricognitivo negativo della  formazione
della DIA ovvero ad annullare in autotutela il  provvedimento  tacito
formatosi. 
    Infatti  le  DIA  non  potevano  perfezionarsi  in  assenza   del
prescritto parere della Soprintendenza, non essendo stata attivata la
procedura finalizzata alla autorizzazione ambientale. 
    Tale motivo ostativo viene rilevato a marzo 2010 dal  sistema  di
pianificazione urbanistica, che nella propria  relazione  precisa  la
inoperativita' della deroga al regime vincolistico  ex  lege  di  cui
all'art.  142  comma  2  decreto  legislativo  n.  42/2004,  sorgendo
l'edificio su aree che non erano classificate come zona A e B del PRG
vigente al 1985. 
    Gli  interventi  eseguiti  dalla  societa'  ricorrente  risultano
assistititi da una serie di denunce di inizio attivita',  di  seguito
elencate, per nessuna delle quali e' stata esperita la  procedura  di
autorizzazione  paesaggistica,  pur  essendo  l'area  di   intervento
sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto ricadente entro i 300 mt
dalla linea di battigia: 
    dia n. 23/2004 per  adeguamento  antisismico,  prevedente  alcune
demolizioni e ricostruzione (per le quali vi e' stato  il  successivo
provvedimento di archiviazione comunale); 
    dia n. 212/2005 per manutenzione straordinaria ed opere  interne,
di ristrutturazione per cambio ad uso alberghiero; 
    dia prot. 2225/2008 per piano interrato di via Melisurgo  per  la
fusione dei locali al piano terra col piano interrato; 
    dia prot. 2553/2009 per ulteriori lavori nella zona interrata per
mutamento di uso, ovvero area benessere; 
      dia n. 367 del 2010  per  lavori  al  piano  8  -  manutenzione
straordinaria per adibirlo a sala  ristorante,  pratica  sospesa  con
dichiarazione di improcedibilita'. 
    L'immobile attualmente ricade in zona A secondo  la  variante  al
PRG approvata nel 2004, ma era al di fuori del perimetro  del  centro
storico del PRG del 1972 ed a tale data si contesta che fosse zona  A
o B. Afferma il  Comune  la  inidoneita'  dei  titoli  edilizi  sopra
elencati alla legittimazione delle opere eseguite, alla stregua delle
seguenti considerazioni: 
    la  DIA  del  2004  non  e'  assentibile,  in  quanto  era  stata
presentata per immobile in relazione al quale pendeva ancora  pratica
di condono edilizio, all'epoca non ancora  esitata;  inoltre  si  era
rilevato il contrasto con l'art.  3  reg.  edilizio  della  struttura
metallica di 180 mq sul terrazzo per rimpianti tecnici; 
    la Dia del 2005 non era assentibile, in quanto non si tratterebbe
di ristrutturazione a parita' di volume, ma  di  creazione  di  nuovi
volumi con modifica  della  sagoma  dell'edificio  in  contrasto  con
l'articolo 124  delle  NTA  del  PRG  -  infatti  il  progettista  ha
considerato i cavedi e luoghi  tecnici  sicuri  dei  volumi  tecnici,
cosi' sottraendoli al calcolo dei volumi e spostandoli al nono  piano
sul ristorante  -  non  sarebbero  volumi  strettamente  necessari  a
contenere  gli  impianti  tecnologici  -  si  contesta   inoltre   la
legittimita' della struttura verandata di 35 mq a  servizio  del  bar
posta al primo piano fuori terra-piano ammezzato-dotato di  scala  di
collegamento con la pubblica via. 
    Si contesta altresi' al nono piano, oltre la sala ristorante  con
volumetria traslata dai cavedi, una nuova volumetria  di  100  mq  in
luogo di una tenda aggiustabile, mentre e' in alluminio e vetri  -  e
il solaio di copertura di tutto il livello sarebbe stato alzato di 90
cm come contestato in sede di sopralluogo; 
      le dia del 2008 e del 2009 sono improcedibili, in quanto da  un
lato il tunnel di collegamento sottostradale con via Melisurgo non e'
sorretto da alcun titolo edilizio, inoltre e' stata abbassata  di  80
cm la quota di calpestio  del  locale  interrato  con  incremento  di
volume (raffronto con la dia del 2005);  il  cambio  di  uso  a  sala
benessere realizza un mutamento di volume  non  consentito  dall'art.
124 della variante generale al PRG e lo scavo e'  stata  eseguito  in
zona archeologica senza informativa della Soprintendenza. 
    Tutte queste considerazioni, unitamente al fatto che si tratta di
interventi   esterni   in   zona   vincolata   senza   autorizzazione
paesaggistica, sono contestate nell'avviso  di  avvio  di  autotutela
delle dia, contestando anche che  si  crea  un  collegamento  tra  le
stesse tale da individuare un intervento di natura complessa, per  il
quale occorre permesso di costruire. 
    In seguito il Comune ha aperto  un  procedimento  di  riesame  in
autotutela delle DIA del 2004, 2005, 2008, 2009, 2010. 
    Avverso  gli  atti  endoprocedimentali,  nonche'  le   successive
determinazioni  dell'amministrazione  comunale,  la   ricorrente   ha
articolato i motivi aggiunti come nell'ordine esposti in premessa,  e
con i quali complessivamente si lamenta: 
      violazione decreto del Presidente della Repubblica  n.  616/77,
legge 431/85, art. 1423 decreto legislativo n. 142/2004, in relazione
al DM 1444/68 ed al PRG della citta' di Napoli del 1972,  eccesso  di
potere sotto vari profili: sussisterebbero i presupposti di fatto per
applicare   la   deroga   all'assoggettabilita'   dei   lavori   alla
autorizzazione paesaggistica, giusta il disposto dell'art. 142  comma
2 decreto legislativo n. 42/2004. Il  PRG,  secondo  la  zonizzazione
della tavola di riferimento (che deve considerarsi  la  tavola  5  in
quanto redatta ai sensi del DM  1444/68)  classifica  l'area  su  cui
sorge l'immobile della societa' Romeo  quale  zona  «B»  disciplinata
altresi' dall'articolo 2 delle NTA.  Di  conseguenza,  la  inclusione
dell'area in zona B alla data del 6 settembre 1985 rende operativa la
deroga al vincolo paesistico ex lege di  cui  all'art.  142  comma  2
decreto legislativo n. 42/2004 - cio' comporterebbe  anche  la  piena
efficacia del condono  a  suo  tempo  conseguito  dalla  dante  causa
dell'odierna ricorrente giusta disposizione dirigenziale  n.  98/2005
la cui  validita'  e'  stata  messa  in  dubbio  dall'amministrazione
comunale. 
    Sarebbe illogico e contraddittorio sostenere - come  vorrebbe  la
difesa comunale - che l'unica tavola valida di  riferimento  del  PRG
dovrebbe considerarsi la n. 3, richiamata dall'articolo 1 delle  NTA,
trattandosi  di  tavola  recante  suddivisione  del  territorio   per
destinazioni  di  uso.  I  pareri  del  servizio  supporto  giuridico
richiamati nelle gravate determinazioni ipotizzano illogicamente  che
il Ministero avesse a suo tempo approvato solo la tavola 3  del  PRG,
per  cui  la  tavola  5  non  avrebbe  mai   assunto   carattere   di
ufficialita'; tanto sarebbe contraddetto dal  DM  di  approvazione  e
dall'avviso  di  pubblicazione  sul  FAL,  ove  si   fa   riferimento
all'intero volume della cartografia di piano.  La  tavola  3  sarebbe
stata espressamente menzionata in quanto unica ad essere modificata. 
    Il Collegio ha disposto consulenza tecnica di  ufficio,  vertente
sulla  duplice  questione   dell'esistenza   o   meno   del   vincolo
paesaggistico sull'area in oggetto e sull'aumento di volumetria e  di
altezza, ritenuti i punti focali di risoluzione  della  controversia,
di cui nella prima si rivela in ogni caso determinante ai fini  della
decisione del  presente  giudizio,  essendo  stata  la  presenza  del
vincolo elemento posto a fondamento dell'impugnato atto di autotutela
sulla DIA. 
    Il CTU ha depositato relazione ed allegati in data  30  settembre
2013. Osserva il Collegio che riveste carattere  prioritario  l'esame
degli accertamenti di natura urbanistica compiuti dal  Consulente  di
ufficio, al fine di verificare la vigenza del  vincolo  paesaggistico
in ragione della classificazione urbanistica della zona alla data del
6 settembre 1985. 
    Si  verte  in  proposito  sulla  difforme  classificazione  della
medesima zona operata nella tavola  5  del  PRG,  ove  la  stessa  e'
indicata quale zona B, e nella tavola 3 allegata al PRG,  ove  figura
indicata come zona D2. Al  riguardo  la  difesa  dell'amministrazione
comunale ha  sostenuto  che  la  tavola  5  non  sarebbe  efficace  e
probante,  in  quanto  non  approvata,  si'  che  l'unica  tavola  di
riferimento dell'intero PRG dovrebbe considerarsi la tavola 3. 
    Occorre     affrontare     preliminarmente      la      questione
dell'individuazione delle prescrizioni  di  zona  imposte  dal  piano
regolatore  generale  del  Comune  di  Napoli   rispetto   all'ambito
territoriale in cui sono stati realizzati gli interventi  edilizi  in
oggetto. 
    Il CTU in proposito ha rilevato quanto segue: 
      «In conseguenza delle ingenti distruzioni belliche causate  dai
conflitto della II^ guerra mondiale, si intese  disciplinare  l'opera
di ricostruzione che appariva urgente ed  indilazionabile,  adottando
appositi piani (di ricostruzione)  per  il  recupero  del  patrimonio
edilizio pubblico e privato degli abitati danneggiati. 
    Il Piano che ha interessato l'ambito della via Marittima, in  cui
ricade l'immobile poi trasformato in  «Hotel  Romeo»,  fu  denominato
«Piano di Ricostruzione dei quartieri Porto,  Mercato  e  adiacenze».
Esso era stato redatto dalla  Commissione  del  Piano  Regolatore  di
Napoli e approvato con D.M.LL.PP. n. 2101 del 27 settembre 1946. 
    Seguirono diverse varianti. Quella  che  nel  1950  consenti'  la
realizzazione dell'edificio  destinato  a  sede  degli  uffici  della
Flotta Lauro venne  approvata  con  D.M.  n.  3181/3533/3041  del  23
settembre  1949,  all'esito  dei  pareri  favorevoli  del   Consiglio
Superiore Lavori Pubblici resi con i voti del 1° agosto 1949, n. 2149
e 6 settembre 1949, n. 2647. 
    «Lo strumento urbanistico generale vigente all'epoca era il Piano
regolatore del 1935.....». 
    Prosegue il CTU osservando come in seguito  alla  adozione  della
legge  urbanistica  del  1942,  il  Comune  di  Napoli   attivo'   il
procedimento per la redazione del nuovo PRG; «Il Consiglio  Superiore
Lavori  Pubblici  rese  parere  favorevole  sul  Progetto  di   piano
regolatore, adottato dal Consiglio comunale con  Deliberazione  n.  1
del 12 marzo 1970, nelle adunanze del 17/23 dicembre 1971  e  del  21
gennaio  1972,  proponendo   modifiche,   stralci,   prescrizioni   e
raccomandazioni che, sentito il Comune, furono recepiti  nel  Decreto
del Ministero per i lavori pubblici - Div. 23^quinquies - n. 1829 del
31 marzo 1972 di approvazione del piano. Con la  Deliberazione  della
Giunta municipale n. 80 del 8 marzo 1972,  ratificata  dal  Consiglio
comunale con la Deliberazione n. 1 del 10 marzo 1972, furono rese  le
controdeduzioni del Comune di Napoli, rimesse al Ministero  con  nota
n. 5511 del 13 marzo 1972, unitamente agli atti del Progetto di piano
(5) costituiti da: 
    a) l'album a stampa contenente la cartografia; 
    b) il volume a stampa delle norme di attuazione; 
    c) il volume a stampa della  relazione  del  progetto  del  nuovo
piano regolatore». 
    Il Progetto di piano regolatore esaminato dal Consiglio Superiore
Lavori Pubblici fu restituito al Comune di Napoli (unitamente al D.M.
1829/72 di approvazione) che lo acquisi' in data 7 giugno 1972 al  n.
139582 del protocollo generale, come attestano le  segnature  apposte
sugli elaborati raccolti nell'atlante, accertate dal CTU. 
    Il consulente da quindi conto degli elementi raccolti al fine  di
affermare la vigenza di entrambe le tavole  (la  n.  3  e  la  n.  5)
allegato al Piano regolatore: 
      «Il progetto del Prg era composto  da  tre  tipi  di  elaborati
(cartografia, norme di attuazione e relazione), cosi  come  accertato
dal sottoscritto Ctu e come risulta dalla nota prot. 5511/1972 e  dai
seguenti passi tratti dalla Relazione: 
        "Il «progetto del piano regolatore generale» (come  l'art.  9
della legge urbanistica definisce il documento elaborato dal  Comune,
che deve essere  successivamente  «presentato»  al  Ministero  per  i
lavori pubblici) consta di tre tipi di elaborati: 
    A - la cartografia (raccolta in «atlante», preceduto da un indice
o  foliario,  da  un  frontespizio  per  ciascuna  tavola   e,   dove
necessario, dalla legenda o dalla tavola di unione dei «fogli»); 
    B - le norme di attuazione,  raccolte  in  separato  fascicolo  e
costituite da 25 articoli e 3 tabelle (28 riferite agli  ambiti  e  5
alle aree per concentrazioni  di  attrezzature  a  scala  di  settore
urbano); 
    C - la relazione  che  comprende  la  presente  introduzione,  la
relazione tecnica del Comitato per il piano regolatore e la relazione
economico-finanziaria  con  la  previsione  di  massima  delle  spese
occorrenti per  l'acquisizione  delle  aree  e  per  le  sistemazioni
generali necessarie per l'attuazione del piano". 
    A sua volta, la  cartografia  raccolta  nell'atlante  consta  dei
seguenti elaborati grafici: 
    "Tavola  1  (in  cinque  fogli):  Cartografia  descrittiva  della
situazione esistente sulla base del rilievo  aerofotogrammetrico  del
territorio comunale aggiornato al 28 luglio 1968 (scala 1:10.000). 
    Tavola 2 (in un foglio):  Inquadramento  dell'area  comunale  nel
territorio circostante con  la  precisazione  dei  vincoli  derivanti
dagli  strumenti  urbanistici  territoriali  gia'   operanti   (scala
1:100.000). 
    Tavola 3 (in cinque fogli  preceduti  dalla  legenda  recante  i'
colori indicativi delle zone e sottozone ed  i  simboli  degli  altri
vincoli di piano): Tavola generale di piano in iscala al 10.000. 
    Tavola 4 (in ventisei fogli  preceduti  dal  quadro  di  unione):
Riproduzione in iscala al 4.000 delle soluzioni di piano. 
      Tavola 5 (in  cinque  fogli):  Classificazione  del  territorio
comunale in zone omogenee ai sensi e per gli effetti dell'art. 2  del
decreto interministeriale 2 aprile 1968 (scala 1:10.000). 
    Tavola 6 (in  cinque  fogli):  Ambiti,  settori  urbani  ed  aree
destinate a concentrazioni di servizi  ed  attrezzature  a  scala  di
settore urbano (scala 1:10.000). 
    Tavola 7 (in cinque fogli): Rete cinematica (scala 1:10.000).» 
    Aggiunge il Consulente: «La riproduzione del disegno e' a stampa,
derivata  da  un  solo  prototipo,  ad  evitare  il  ripetersi  delle
incredibili vicende del piano del '39,  inficiato  dalle  difformita'
esistenti fra i tre originali del 10.000 e fra il disegno al 10.000 e
quello a scale diverse ..... 
    Si spiega anche  perche'  la  rappresentazione  della  situazione
attuale sia stata effettuata non tanto in conformita' della circolare
Romita, quanto del decreto interministeriale 2 aprile 1968, che vuole
la classificazione del territorio urbano in zone omogenee (tavola  5)
anche se  questa  classificazione  non  tiene  conto  soltanto  delle
caratteristiche  presenti  sul  territorio,  ma  considera  anche  la
destinazione futura» [cfr. da pag.107 a 109 relazione - all.  5].  La
Relazione al progetto del Piano di Napoli, dunque, spiega che accanto
alle zone ed aree di cui all'art. 7 legge n. 1150/42 (10)  -  in  cui
suddividere il territorio comunale per  definirne  la  disciplina  di
dettaglio - venivano individuate le cosi' dette  «zone  omogenee»  di
cui all'art. 17 legge n. 765/67 [alias  art.  41-quinquies  legge  n.
1150/42]. 
    Ed  invero,  Parti  delle  Norme  di   Attuazione   fa   espresso
riferimento all'art. 7 legge n. 1150/42 e, segnatamente, alle zone  e
relative sottozone rappresentate nella Tav.  3,  mediante  differenti
colorazioni e simbologie esplicative, attraverso cui si definisce  la
disciplina urbanistica e l'individuazione  della  destinazione  d'uso
delle aree del territorio comunale. Nei cinque fogli  costituenti  la
Tav. 5, invece, redatta per ottemperare alle disposizioni di  cui  al
D.I. 1444/1968, sono  indicate  graficamente  le  «zone  territoriali
omogenee», introdotte dall'art. 17 legge n. 765/67 per consentire  la
verifica  del  rispetto  dei  limiti  e  dei  rapporti   inderogabili
(standard) la cui determinazione  era  stata  demandata  ad  apposito
decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata  in
vigore della citata legge [art. 17, ultimo comma, legge n. 765/67]. 
    A dette «zone territoriali omogenee» ed alla Tav. 5  fa  espresso
riferimento l'Art. 2 (Zone  Territoriali  Omogenee)  delle  Norme  di
Attuazione. Tale articolo non e' stato interessato da alcuna modifica
in sede di approvazione." 
    Ed ancora rileva il consulente la specifica ragion d'essere delle
suddivisioni contenute nella tavola n. 5:  "  Un  chiaro  riferimento
allo scopo, assolto dalla Tav. 5, di  classificare  la  Citta'  nelle
cosi' dette "zone  omogenee"  di  cui  al  D.I.  2  aprile  1968  per
ottemperare alla disposizione di cui all'art. 17 legge n. 765/67,  si
rinviene anche al 5° capoverso di pag. 334 della Relazione [cfr. all.
6 - tratto dal doc. 15] in cui si legge: 
      «In relazione a quanto prescritto nel nominato D.M., la  citta'
va suddivisa nelle cosi' dette zone  omogenee.  Esse  sono  tali  dal
punto di vista secondo il quale per  una  determinata  zona  omogenea
vigono determinare prescrizioni quantitative di attrezzature.  Questa
operazione e' stata eseguita nel presente progetto per la citta',  ma
essa fornisce soltanto indicazioni di valori  medi  su  grosse  aree.
Difatti le zone omogenee, quali sono indicate nell'apposita tavola n.
5, hanno forte estensione». 
    Per le finalita', invece, della Tav. 3 (destinata ad indicare  le
zone di cui all'art. 7 legge n. 1150/42) torna utile il  punto  5  di
pag. 336 della Relazione [cfr. all. 7 - tratto dal doc. 15] in cui si
legge: 
      «La zonizzazione adottata e' riportata nella  tavola  3  ed  e'
specificata e regolata dalle norme di attuazione.  Essa  si  articola
secondo i seguenti criteri. Alla base di  ogni  particolare  proposta
sta la considerazione delle finalita' che si vogliono conseguire. 
    Tali  finalita'  si  traducono,  per  quanto  si  riferisce  alla
zonizzazione, nella necessita' di indicare la destinazione  d'uso,  e
di procedere, in relazione a questa ed in relazione alle esigenze  di
attrezzature   documentate   dallo   studio   degli   ambiti,    alla
conservazione o alla ristrutturazione,  con  le  possibili  e  spesso
necessarie combinazioni di conservazione - ristrutturazione»." 
    In aggiunta alle considerazioni esposte, il dato di  fatto  della
rilevanza  di  tutti  gli  allegati  ai  fini  della  vigenza   delle
prescrizioni in  essi  contenute,  sta  nel  rilievo  che  tutti  gli
elaborati (relazione, norme di' attuazione, grafici)  recano  le  tre
timbrature del Consiglio Superiore del LL. PP. 
    Quanto alla sigillatura operata per la sola tavola 3, osserva  il
CTU come: " Tali modalita' di confezionamento  dei  cinque  elaborati
della  Tav.  3  e  della  Legenda,  in  cui  sono  rappresentate   le
zonizzazioni definite all'art. 7 legge n. 1150/42,  suscitano  l'idea
nell'osservatore che si sia  voluto  scongiurare  ogni  tentativo  di
alterazione degli atti per evitare quanto  in  passato  era  accaduto
alle tavole del piano del 1939', fatti ricordati nella Relazione  del
Prg del 1972  .....Tali  rimedi  dovevano  riguardare  gli  elaborati
grafici e la legenda della Tav. 3 che, in connessione con le Norme di
Attuazione,  fissavano  la  disciplina  edilizia  ed  urbanistica  di
ciascuna  delle  zone  e  sottozone  in  cui  era  stato  diviso   il
territorio, ai sensi dell'art. 7 legge n. 1150/42.  Nessun  problema,
invece, presentavano sotto tale profilo gli elaborati della  Tav.  5,
atteso  che  la  stessa  era   stata   predisposta   unicamente   per
classificare il territorio nelle «zone omogenee» di cui  all'art.  17
legge  n.  765/67  per  la  verifica  quantitativa   degli   standard
prescritti dal D.I. 2 aprile 1968." 
    Ed infine: «In relazione al 3° quesito si risponde,  quindi,  che
il calcolo  degli  standard  urbanistici  richiamato  nel  parere  n.
1903/72 del Consiglio Superiore LL.PP., per la  zona  cui  appartiene
l'area di sedime in questione, e' proprio quello che si applica  alla
zona classificata come zona omogenea B) di cui all'art. 2 del D.I.  2
aprile 1968, n. 1444.» 
    Orbene,  la  Tavola  5  e'  chiaramente   riferita   alle   «zone
territoriali omogenee» di cui all'art. 17 della legge 765/67. 
    Sulla scorta delle pregresse  considerazioni,  il  Collegio  puo'
giungere alle seguenti conclusioni in punto di diritto: 
    il  Comune,  in  sede  di  pianificazione  generale  del  proprio
territorio, utilizza due strumenti che hanno fini diversi: 
    la divisione in zone del territorio ai sensi  dell'art.  7  della
legge n. 1150-1942, destinata a delineare  il  progetto  di  sviluppo
della citta' in senso dinamico; 
      la definizione, per zone territoriali omogenee,  dei  limiti  e
dei rapporti tra edificazione a scopo  residenziale  e  produttivo  e
spazi pubblici, ai sensi dell'art. 41-quinquies della stessa legge  e
del D.M. n. 1444 del 1968, che acquista rilevanza ai soli fini  della
dotazione degli standard, «senza  peraltro  costituire  vincolo  alle
valutazioni  tecnico  -  discrezionali  dell'Amministrazione»  (Cons.
Stato, Sez. IV, 25 maggio 1998, n. 869). 
    L'art. 2 del D.M. n. 1444-1968 prevede, in particolare, tre  zone
destinate ad insediamenti residenziali (zona A,  B  e  C),  una  zona
destinata a «nuovi insediamenti per impianti industriali  o  ad  essi
assimilati» (zona D), una zona destinata ad usi  agricoli  (zona  E),
una zona destinata ad attrezzature ed impianti di interesse  generale
(zona F). 
    I parametri per la individuazione  delle  zone  territoriali  non
sono  tra  loro  omogenei:  le  zone  di  tipo  A),  B)  e  C)   sono
caratterizzate  ed  individuate,  infatti,  attraverso  le   qualita'
fisiche  ed  edilizie   del   territorio,   indipendentemente   dalle
destinazioni d'uso del suolo in atto o previste dal piano  in  quella
specifica porzione di' terreno; mentre le zone di tipo D), E)  ed  F)
sono caratterizzate dalle  destinazioni  d'uso  previste  dal  piano,
indipendentemente dalle caratteristiche fisiche  dell'edificazione  e
del territorio. 
    La divisione in zone del territorio comunale puo' non  coincidere
con la individuazione delle zone territoriali omogenee  previste  dal
D.M. n. 1444-1968, sicche' ben puo' verificarsi  (come  nel  caso  in
esame) che in una zona territoriale omogenea sia compresa piu' di una
destinazione di  P.R.G.  e,  nelle  situazioni  di  incertezza  e  di
ambiguita', la individuazione delle zone  omogenee  viene  ad  essere
completamente determinata dalla successiva operazione di  definizione
delle quantita' minime di  aree  per  i  servizi  e  di  vincolo  per
l'edificazione, che si intendono perseguire e porre in atto. 
    Nella fattispecie in esame la zona  interessata  viene  tipizzata
nel P.R.G. come destinata a zona D2 ai sensi dell'art. 7 della  legge
urbanistica;  e  ai  sensi  dell'art.  2  delle  norme  tecniche   di
attuazione del PRG, ha la funzione specifica di zona B ai fini  della
individuazione degli standard urbanistici. 
    Essa ha una precisa localizzazione ed un'autonoma  disciplina  e,
anche  quanto  al  dimensionamento  degli  standard,  e'   nettamente
distinta dalle zone individuate come D, secondo  quanto  diffusamente
accertato dal CTU in base a considerazioni che il Collegio ritiene di
condividere, in quanto fondate  su  logici  criteri  di  giudizio  ed
assistite da ampie acquisizioni documentali e riscontri oggettivi. 
    Si da quindi logicamente e giuridicamente conto della coesistenza
di due tavole, la 3 e la 5, redatte a fini diversi: 
      nella tavola 3 la zonizzazione classifica il suolo come  D2  ed
e' effettuata ai sensi dell'art. 7 legge 1150/42 (cfr. art.  1  delle
NTA); 
      nella tavola 5 la zonizzazione e' resa ai sensi del DM  1444/68
(cfr. art. 2 delle NTA). 
    Occorre ora effettuare il coordinamento di  tali  tavole  con  la
previsione dell'art. 1, 2 comma, del  D.L. 27  giugno  1985,  n.  312
(c.d. Galasso), convertito con modificazioni  nella  legge  8  agosto
1985, n. 431, secondo la quale «Il vincolo paesaggistico  di  cui  al
precedente comma non si applica alle zone A), B)  e  -  limitatamente
alle parti ricomprese nei piani  pluriennali  di  attuazione  -  alle
altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi  del
D.M. 2 aprile  1968,  n.  1444  e,  nei  Comuni  sprovvisti  di  tali
strumenti, ai centri edificati  perimetrali  ai  sensi  dell'art.  18
della legge 22 ottobre 1971, n. 865». 
    Tale disposizione normativa e' stata di volta in volta riprodotta
nelle successive  versioni  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, sino all'odierna formulazione di cui all'art. 142 comma  2
decreto legislativo n. 42/2004. 
    La tavola rilevante a  tal  fine  e'  quella  di  cui  al  n.  5,
contenente la zonizzazione ai fini degli standard,  come  enuncia  il
tenore letterale della disposizione in  esame,  che  ha  inteso  fare
riferimento alla classificazione del territorio comunale ai sensi del
D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. 
    Ne deriva che, a tal fine, nel PRG del Comune di Napoli del  1972
- quello da prendere a riferimento ai sensi della invocata  deroga  -
la zona in esame era classificata come zona  B,  e  -  nella  vigenza
della  citata  disposizione  di  legge  -  dovrebbe  essere  ritenuta
sottratta alla  disciplina  della  autorizzazione  paesaggistica,  ai
sensi della norma derogatoria sopra citata. Pertanto - in parte qua -
l'esercizio dell'autotutela sulla DIA  del  2005  dovrebbe  ritenersi
illegittimo. 
    Tuttavia il Collegio ritiene di dover  sollevare  di  ufficio  la
questione di legittimita'. costituzionale  della  norma  derogatoria,
per contrasto con gli artt. 9 e 117, comma 1, Costituzione. 
    Invero, l'applicazione della norma di cui all'art 142,  comma  2,
decreto legislativo  n.  42/2004  e  segnatamente  della  deroga  ivi
contenuta, della quale sussistono i presupposti fattuali, condurrebbe
a conseguenze contrastanti con i principi costituzionali  in  materia
di tutela del paesaggio dettati dall'art. 9 Cost. e con il  principio
del rispetto delle convenzioni internazionali di  cui  all'art.  117,
comma 1; Cost., alla luce del riconosciuto principio del «pacca  sunt
servanda». 
    Sulla  rilevanza  della  questione  ai  fini  del  decidere,   e'
sufficiente richiamare come  l'invocata  applicazione  della  deroga,
sancita dalla disposizione di legge della  cui  costituzionalita'  il
Collegio  dubita  ex  officio,  comporti  l'inesistenza  del  vincolo
paesaggistico e che la  sussistenza  di  quest'ultimo  e'  condizione
posta dall'Amministrazione alla base  dei  provvedimenti  gravati  in
questa sede, tra cui la determinazione congiunta  di  autotutela  nei
confronti della DIA e il conseguente ordine di demolizione. 
    Nel merito della questione di  costituzionalita',  l'immobile  in
oggetto ricade nel perimetro delle aree vincolate ex  lege  ai  sensi
del cd. decreto Galasso, trovandosi nella  fascia  di  300  mt  dalla
battigia,  e  quindi  dovrebbe   essere   soggetto   al   regime   di
autorizzazione  paesaggistica  per  gli  interventi  che   comportano
modifiche dell'aspetto esteriore dei luoghi. 
    Per lo stesso dovrebbe tuttavia  essere  applicata  la  normativa
derogatoria, trovandosi in zona che alla data del  6  settembre  1985
era classificata come zona B del vigente strumento urbanistico. 
    In effetti il  legislatore,  con  la  norma  citata,  dopo  avere
indicato le zone vincolate, confermando la previgente  previsione  di
analogo tenore contenuta nella legge n. 485 del 1981, e  nel  decreto
legislativo  n.  490/99,  al  secondo  comma  ha  contemplato  alcune
eccezioni, escludendo l'operativita' del vincolo legale per tutte  le
aree che alla data del 6 settembre 1985 (di entrata in  vigore  della
«legge Galasso», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  del  22  agosto
1985) si trovassero in determinate condizioni. La deroga si riferisce
a tre ipotesi: 
    «2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a),  b),  c),  d),
e), g), h), l), m), non si applica alle aree  che  alla  data  del  6
settembre 1985: 
      a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai  sensi  del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come  zone  territoriali
omogenee A e B; 
    b) erano delimitate negli  strumenti  urbanistici  ai  sensi  del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come  zone  territoriali
omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti  di  esse
ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a  condizione  che  le
relative previsioni siano state concretamente realizzate; 
    c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri
edificati perimetrati' ai  sensi  dell'articolo  18  della  legge  22
ottobre 1971, n. 865.» 
      (art. 142  comma  2  nel  testo  come  modificato  dal  decreto
legislativo n. 63/2008). 
    Al riguardo va ricordato brevemente che  la  legge  n.  765/1967,
introducendo l'art. 41-bis  della  legge  urbanistica  n.  1150/1942,
aveva stabilito  che  tutti  i  comuni,  nella  formazione  di  nuovi
strumenti  urbanistici  o  nella  revisione  di   quelli   esistenti,
dovessero osservare limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti  massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi»  (cd.  standards  urbanistici).  Tali  limiti  e  rapporti
sarebbero stati definiti  per  zone  territoriali  omogenee,  con  un
decreto del  Ministro  per  i  lavori  pubblici,  poi  effettivamente
emanato nel 1968, con il n. 1444. Il decreto in parola,  all'art.  2,
delinea sotto un profilo funzionale sei tipologie di  zone  omogenee,
ognuna individuata con una lettera (da A a F) e caratterizzata da una
distinta destinazione urbanistica e potenzialita' edificatoria.  Cio'
consentiva e consente ai comuni di dare piena applicazione  a  quanto
previsto dall'art. 7 della legge urbanistica all'epoca  vigente,  che
prescriveva che il piano regolatore  generale  suddividesse  in  zone
l'intero territorio comunale,  ognuna  con  la  propria  connotazione
tipologica  e  funzionale,  individuando,  tra   le   altre,   quelle
contraddistinte da particolari caratteristiche storiche,  paesistiche
ed ambientali, per  le  quali  avrebbe  dovuto  anche  individuare  i
relativi vincoli. 
    Tanto precisato, va ricordato che le zone A) vengono definite dal
D.M.  del  1968  come  «le  parti  del  territorio   interessate   da
agglomerati urbani che rivestono carattere storico,  artistico  o  di
particolare pregio ambientale o da porzioni di  essi,  comprese  aree
circostanti, che possono  considerarsi  parte  integrante,  per  tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi»; le zone  B)  sono  invece
quelle porzioni di territorio «totalmente o  parzialmente  edificate,
diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le  zone
in  cui  la  superficie  coperta  degli  edifici  esistenti  non  sia
inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della  zona
e nelle quali la densita' territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq». 
    In questo ambito,  pertanto,  l'art.  142  intende  escludere  in
assoluto l'operativita' della tutela legale  per  tutte  quelle  zone
gia' completamente o fortemente edificate ed  urbanizzate  (zone  B),
rispetto alle quali le  eventuali  valenze  paesaggistiche  risultano
sostanzialmente  gia'  cristallizzate  nonche'  per  quelle  zone  in
relazione  alle  quali  gli  strumenti  urbanistici   avessero   gia'
autonomamente proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilievo
storico, paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo
regime vincolistico (zone A). 
    In sintesi, la ratio della  norma  e'  quella  di  escludere  dal
regime di tutela  il  cd.  territorio  urbano  edificato,  in  quanto
sostanzialmente gia' compromesso dal punto di vista  paesaggistico  e
inespressivo di valori di tal genere. 
    Nella fattispecie all'esame di questo TAR,  tuttavia,  si  e'  in
presenza di un centro edificato del Comune di Napoli  di  eccezionale
pregio paesaggistico e storico, secondo quanto puo'  desumersi  quale
fatto notorio dalla determinazione di  inclusione  dello  stesso  nei
siti tutelati dall'UNESCO. 
    E' invero fatto notorio che il centro storico di Napoli e'  stato
iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1995, con  la
seguente  motivazione:  Napoli  e'  una  delle  citta'  piu'  antiche
d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo preserva  gli  elementi
della sua lunga e importante storia. 
    Sulla  base  del  secondo  e  quarto  criterio  stabilito   dalla
Convenzione degli accordi di Parigi del  1972,  si  e'  ritenuto  che
Napoli merita il riconoscimento di Patrimonio dell'Umanita' per esser
stata fin dall'antichita' il polo  culturale  piu'  importante  della
Magna Grecia,  condizione  di  dominio  politico  che  la  citta'  ha
mantenuto anche nel Medioevo,  ed  ancora  nel  XVI  e  XVII  secolo,
periodo culmine delle arti e  dell'architettura,  in  cui  Napoli  ha
esercitato influenza europea in questo settore. 
    Al riguardo si riportano i citati criteri:  Criterio  II  (1994):
«aver esercitato un'influenza considerevole in un dato periodo  o  in
un'area  culturale  determinata,  sullo  sviluppo  dell'architettura,
delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione
di paesaggi». Criterio IV (1994): «...offrire esempio eminente di  un
tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio  che
illustri un periodo significativo della storia umana». 
    La Convenzione UNESCO  per  la  tutela  del  patrimonio  mondiale
culturale e naturale, adottata nel  1972  dalla  Conferenza  Generale
degli  Stati  Membri  dell'UNESCO  e'  stata  recepita   nel   nostro
ordinamento con Legge nazionale di ratifica n. 184 del 6 aprile 1977. 
    Scopo della Convenzione e' il riconoscimento condiviso che i beni
culturali  e  naturali  di   valenza   eccezionale,   ovunque   siano
localizzati,  costituiscono  un  patrimonio  universale   dell'intera
comunita' internazionale. Ne consegue  che  gli  Stati  firmatari  la
Convenzione  dovranno  concorrere  «all'identificazione,  protezione,
conservazione e  valorizzazione»  di  questo  patrimonio,  nonche'  a
cooperare e  prestare  assistenza  agli  Stati  che  si  impegnano  a
preservarlo. 
    Si e' dunque giunti, nell'evoluzione della Convenzione UNESCO, ad
un accreditamento esplicito e consapevole del paesaggio come bene  da
preservare e meritevole di tutela, tutela che si rivolge  a  beni  di
«valore universale eccezionale». Secondo quanto definito  negli  atti
della  convenzione:  «Il  valore  universale  eccezionale   significa
un'importanza  culturale  e/o  naturale  talmente   eccezionale   che
trascende le frontiere nazionali e che presenta gli stessi  caratteri
inestimabili sia per le generazioni attuali  che  per  quelle  future
dell'intera umanita'. Per questo motivo la protezione  permanente  di
questo patrimonio riveste la piu'  elevata  importanza  per  l'intera
comunita' internazionale». 
    In proposito gli stati aderenti hanno assunto specifici  impegni,
dettagliati negli artt. 4 e 5 del Trattato: «Art 4 -  Ciascuno  Stato
partecipe della  presente  Convenzione  riconosce  che  l'obbligo  di
garantire     l'identificazione,      protezione,      conservazione,
valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del  patrimonio
culturale e naturale di cui agli articoli 1  e  2,  situato  sul  suo
territorio, gli incombe in prima persona. Esso si sforza di  agire  a
tal  fine  sia  direttamente  con  il  massimo  delle   sue   risorse
disponibili, sia, all'occorrenza, per mezzo dell'assistenza  e  della
cooperazione internazionale di cui potra' beneficiare, segnatamente a
livello finanziario, artistico, scientifico e tecnico.».  «Art.  5  -
Per garantire una protezione e una  conservazione  le  piu'  efficaci
possibili  e  una  valorizzazione  la  piu'  attiva   possibile   del
patrimonio culturale e naturale  situato  sul  loro  territorio,  gli
Stati  partecipi  della  presente   Convenzione,   nelle   condizioni
appropriate ad ogni paese, si sforzano quanto possibile: 
    a. di adottare una politica  generale  intesa  ad  assegnare  una
funzione al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a
integrare  la  protezione  di  questo  patrimonio  nei  programmi  di
pianificazione generale; 
    b. di istituire sul loro territorio, in quanto  non  ne  esistano
ancora,  uno  o  piu'  servizi   di   protezione,   conservazione   e
valorizzazione  del  patrimonio  culturale  e  naturale,  dotati   di
personale appropriato, provvisto dei mezzi necessari per adempiere  i
compiti che gli incombono;........................ 
    d. di prendere i provvedimenti giuridici,  scientifici,  tecnici,
amministrativi   e   finanziari   adeguati   per   l'identificazione,
protezione, conservazione, valorizzazione e  rianimazione  di  questo
patrimonio...» 
    L'immobile  oggetto  del  presente   giudizio   sorge   su   area
ricompresa, in  base  alla  cartografia  allegata  al  riconoscimento
UNESCO, in area di tutela; invero, lo  stesso  si  trova  all'interno
della zona cuscinetto detta «buffer zone area» delimitata in funzione
del valore di Patrimonio dell'Umanita', e della sua tutela,  "secondo
la perimetrazione cartografica rilevabile dal sito internet  comunale
(zona perimetrata in giallo). 
    L'immagine  del  centro  storico  UNESCO  percepita  come  unica,
fruibile soprattutto vantaggiosa per gli arrivi via mare, dalla quale
prospettiva e' riconoscibile la straordinaria valenza paesistica, non
ha tuttavia comportato sinora la imposizione di uno  speciale  regime
vincolistico, non risultando  portati  a  compimento  i  procedimenti
presso  il   Ministero   dei   Beni   culturali   di   riconoscimento
dell'interesse paesaggistico del centro storico- Unesco, previsto dal
Codice per i beni culturali e il paesaggio. 
    In mancanza dell'emanazione del  decreto  ministeriale,  previsto
dal citato Codice, che attesti l'impareggiabile valore  paesaggistico
del centro storico di Napoli, l'operativita' della deroga  al  regime
vincolistico  generale  di  cui  al  decreto  Galasso  conduce   alla
conseguenza paradossale di consentire, nel perimetro dei 300 mt dalla
battigia, ove insistono significative testimonianze della  storia  di
Napoli e del suo paesaggio identitario, trasformazioni del territorio
senza alcuna valutazione di compatibilita' paesaggistica. 
    Tale evenienza contrasta con l'articolo 9 della Costituzione, che
ha fatto assurgere il paesaggio a valore primario  della  Repubblica:
esso colloca il valore del patrimonio paesaggistico -  come  dice  la
giurisprudenza costituzionale - tra i valori  «primari»e  «assoluti»:
non  disponibili,  non  esposti  alla  mutevolezza  degli   indirizzi
politici e comunque da preferire nelle scelte amministrative (cfr. C.
Cost. 7 novembre 2007, n. 367). 
    In questo senso si valorizza la dimensione tecnica del vaglio  di
compatibilita', cioe' della gestione del vincolo, per  assicurare  la
prevalenza del valore «primario e assoluto» del paesaggio, affermando
che il parere obbligatorio  e  vincolante  del  soprintendente  va  a
rimodulare l'«estrema difesa del vincolo». 
    Osserva il Collegio che lo schema  operativo  della  «tutela»  e'
implicitamente   recepito   dal    principio    fondamentale    della
Costituzione, che consente un obiettivo giudizio  tecnico  sul  nuovo
intervento rispetto al valore riconosciuto della preesistenza. Questo
schema e'  percio'  costituzionalmente  necessario  e  puo'  ricevere
deroga  solo  in  ipotesi  tassativamente  previste   e   che   siano
ragionevolmente espressive di  fattispecie  in  cui  si  evidenzi  la
mancanza di valori paesaggistici da tutelare. 
    Cio' che rileva, e che e' essenziale  all'effettivita'  dell'art.
9, e' che  dalla  dichiarazione  derivi  l'obbligo  di  una  motivata
valutazione tecnica di compatibilita' del nuovo intervento progettato
con i valori preesistenti, finalizzata ad evitare  che  sopravvengano
alterazioni  inaccettabili  del  valore  paesaggistico  protetto.  La
sequenzialita' di queste due fasi  identifica  il  nucleo  essenziale
della funzione costituzionale di tutela del paesaggio e ne garantisce
l'effettivita', insieme alla regola essenziale  di  tecnicita'  e  di
concretezza, per cui il giudizio di compatibilita' paesaggistica deve
essere tecnico e proprio del caso concreto. 
    In riferimento al «vincolo», legale o amministrativo,  e  in  sua
«gestione», sono adottati i provvedimenti autorizzatori,  ablatori  e
ripristinatori, che concretano la manifestazione della  funzione  che
si esprime nel giudizio di  «compatibilita'»  rispetto  ai  caratteri
preesistenti e qualificati. 
    Questo  effetto  di  valutazione  in  sede  di  procedimento   di
autorizzazione costituisce il contenuto essenziale del  vincolo,  cui
puo' aggiungersi, in combinato con le «prescrizioni d'uso»  da  piano
paesaggistico o la «specifica disciplina» per il singolo vincolo,  un
effetto sostanziale  di  valutazione  immediata  ed  ex  ante  (nella
fattispecie non operante, trattandosi  di  vincolo  generalizzato  ex
lege). 
    Consegue da quanto esposto che, quale che sia lo strumento da cui
la tutela muove - vincolo amministrativo puntuale, vincolo legale per
categorie,  vincolo  da  piano  pasaggistico  -,  la  valutazione  di
compatibilita' delle innovazioni che vi presiede e' legata  a  questo
carattere di primarieta' del paesaggio e non puo' essere  esclusa  in
via generalizzata, con riferimento alla sola tecnica di  zonizzazione
del territorio da parte dell'amministrazione comunale,  per  di  piu'
trattandosi  di   una   tecnica   di   zonizzazione   fotografata   e
cristallizzata alla data del 6  settembre  1985,  epoca  in  cui  gli
strumenti urbanistici  di  molti  comuni  non  avevano  ancora  preso
coscienza del valore identitario del bene paesaggio. 
    Inoltre  va  rilevato  che  siffatta  deroga  lascia  ancor  piu'
indifese le zone di territorio comunale che all'epoca di  riferimento
erano classificate come zone B, poiche' per  i  centri  storici  (che
coincidono con le zone A)  viene  normalmente  predisposta  specifica
normativa   di   tutela,   volta   alla   forte   limitazione   delle
trasformazioni assentibili del territorio. 
    La giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n.  66/2012  e
sentenza n. 164 del 2009) sottolinea come le disposizioni in  materia
di vincoli rivestano la qualificazione di «norma  di  grande  riforma
economico-sociale». Tali  disposizioni  sono  ritenute  centrali,  in
quanto:..... "proprio laddove hanno  reintrodotto  la  tipologia  dei
beni paesaggistici e ne hanno operato la relativa ricognizione, si e'
inteso dare «attuazione al disposto del  (citato)  articolo  9  della
Costituzione, poiche' la prima  disciplina  che  esige  il  principio
fondamentale della tutela del paesaggio e'  quella  che  concerne  la
conservazione della morfologia del territorio e dei  suoi  essenziali
contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007)." 
    L'articolo 142, comma 2, decreto legislativo n.  42/2004,  quindi
si paleserebbe in possibile contrasto con l'art. 9 della Costituzione
dove,  nel  prevedere  la  deroga   al   regime   di   autorizzazione
paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio  comunale,  tali
classificate negli strumenti urbanistici  vigenti  alla  data  del  6
settembre 1985, non esclude da tale ambito  operativo  di  deroga  le
aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO 
    Inoltre, come indicato, con la richiamata Convenzione UNESCO  per
la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, adottata  nel
1972 dalla Conferenza  Generale  degli  Stati  Membri  dell'UNESCO  e
recepita nel nostro ordinamento con legge nazionale  di  ratifica  n.
184 del 6 aprile 1977, gli Stati  firmatari  si  sono  assunti  degli
impegni di valorizzazione e tutela mediante ogni idoneo strumento dei
siti di riconosciuto valore, ai sensi dei riportati artt. 4 e 5 della
Convenzione medesima. 
    Alla luce di cio' il  Collegio  ritiene  che  la  medesima  norma
dell'art. 142, comma 2, decreto legislativo 42/2004, possa  porsi  in
contrasto anche con l'art. 117, comma 1, Cost, che impone il rispetto
delle convenzioni internazionali, alla luce del principio «pacta sunt
servanda». 
    Tali impegni di valorizzazione e tutela  non  consentono  difatti
che un sito riconosciuto come di preminente valore  dall'UNESCO,  con
l'inserimento nella  lista  del  Patrimonio  Mondiale  UNESCO,  possa
essere destinatario di una norma di  deroga  che  lo  sottragga  alla
tutela ordinariamente prevista dal legislatore nazionale per  i  siti
riconosciuti di valore paesaggistico. 
    In questo caso la Convenzione UNESCO, e segnatamente gli artt.  4
e 5 della Convenzione medesima, integrano, quali «norme  interposte»,
il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma  1,  Cost.,
nella parte in cui stabilisce l'obbligo per la  legislazione  interna
di rispettare i vincoli derivanti  dagli  «obblighi  internazionali»,
che pertanto risulterebbe violato. 
    D'altra parte l'importanza delle  convenzioni  internazionali  in
materia di tutela del  patrimonio  paesaggistico  viene  riconosciuta
dallo stesso decreto legislativo. n. 42/2004 che nell'art. 132, comma
1,  (Convenzioni  internazionali),  prevede  che  «la  Repubblica  si
conforma agli obblighi ed ai principi di cooperazione tra  gli  Stati
fissati dalle convenzioni internazionali in materia di  conservazione
e valorizzazione del paesaggio». 
    Sotto altro concorrente profilo, pero', il Collegio rileva come i
siti inseriti nella lista del Patrimonio  Mondiale  UNESCO  meritino,
alla stregua degli indicati riferimenti costituzionali, lo  specifico
regime legislativo di tutela paesaggistica, ovverosia il carattere di
interesse    paesaggistico    e    la     conseguente     disciplina,
indipendentemente dal ricadere in una  delle  specifiche  ipotesi  di
vincolo ex lege di cui all'art. 142, comma 1, decreto legislativo  n.
42/2004, e in tal senso  il  riconoscimento  di  tutela  UNESCO,  con
l'inserimento nella relativa lista, dovrebbe essere ricompreso,  come
ipotesi  aggiuntiva,  tra  i  casi  previsti  nel  medesimo  comma  1
dell'art. 142. 
    Si rileva pertanto la possibile illegittimita'  costituzionale  -
per i medesimi motivi suindicati di contrato con  l'art.  9  Cost.  e
l'art. 117 Cost. per il tramite  delle  norme  interposte  costituite
dagli 4 e 5 della Convenzione UNESCO - anche dell'art. 142, comma  1,
decreto legislativo. 42/2004 nella parte in cui non contempla, tra le
ipotesi in cui viene riconosciuto ex lege il carattere  di  interesse
paesaggistico e  la  relativa  disciplina  di  tutela,  quelle  degli
immobili  per  cui  e'  intervenuto  il  riconoscimento  UNESCO,  con
l'inserimento nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. 
    In senso analogo, la  disciplina  generale  per  l'individuazione
degli immobili ed aree di notevole interesse  pubblico,  assoggettati
alla specifica tutela delle  disposizioni  di  cui  al  Lgs.  42/2004
demanda   alla    discrezionalita'    tecnica    dell'amministrazione
l'individuazione  dei  beni  da  dichiarare  di  notevole   interesse
pubblico, senza che vi sia alcun obbligo nel  caso  in  cui  un  sito
rientri nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. 
    Una censura di costituzionalita' puo' riguardare, sempre  per  le
ragioni indicate, anche le norme di cui agli art. 134, 136, 139,  140
e 141  decreto  legislativo  n.  42/2004,  nella  parte  in  cui  non
impongono  all'Amministrazione  di  adottare  la   dichiarazione   di
notevole interesse, con la conseguente disciplina di  tutela,  per  i
siti riconosciuti Patrimonio Mondiale UNESCO. 
    Il  Collegio,  conclusivamente,  ritenuta  la  rilevante  e   non
manifestamente  infondata,  solleva  di  ufficio  la   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  142,  comma  2,  decreto
legislativo. n. 42/2004 in riferimento all'art. 9 della  Costituzione
e all'art. 117, comma 1, della Costituzione,  per  il  tramite  delle
norme interposte costituite dagli 4 e 5 della Convenzione UNESCO  per
la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale, laddove , nel
prevedere la deroga al regime  di  autorizzazione  paesaggistica  per
tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate  negli
strumenti urbanistici vigenti alla data del  6  settembre  1985,  non
esclude  da  tale  ambito  operativo  di  deroga   le   aree   urbane
riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO. 
    Solleva  altresi'  di  ufficio  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 142, comma 1,  decreto  legislativo.  n.
42/2004 e dell'art.  134  -  136  decreto  legislativo.  42/2004,  in
riferimento all'art. 9 della Costituzione e all'art.  117,  comma  1,
della Costituzione, per il tramite delle norme interposte  costituite
dagli 4 e 5 della Convenzione UNESCO per  la  tutela  del  patrimonio
mondiale culturale e naturale, e rispettivamente, per l'articolo 142,
comma 1, nella parte in cui non contempla,  tra  le  ipotesi  in  cui
viene riconosciuto ex lege il carattere di interesse paesaggistico  e
la relativa  disciplina  di  tutela,  quelle  dei  siti  per  cui  e'
intervenuto il riconoscimento di Patrimonio Mondiale  UNESCO  e,  per
gli artt. 134, 136, 139, 140 e 141 decreto  legislativo  n.  42/2004,
nella parte in cui non impongono all'Amministrazione di  adottare  la
dichiarazione  di  notevole  interesse  per   i   siti   riconosciuti
patrimonio Mondiale UNESCO. 
    Visto l'art. 23 della legge cost. n. 87/1953; 
    Riservata ogni altra decisione in rito, in merito e  sulle  spese
all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla  quale
va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita'. 
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della  Segreteria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
Costituzionale; dispone la notificazione del presente provvedimento -
sempre a cura della Segreteria - alla Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri  ed  alle  parti  in  causa,  nonche'  la  comunicazione  ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.